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Arresto Cardiaco Respirazione Cardiopolmonare

antonino vinciguerra • nov 23, 2023

Terminologie usate per comprendere:

• Cos’è un arresto cardiaco (AC);
• Cosa significa rianimazione cardiopolmonare (RCP);
• Cos’è un defibrillatore semiautomatico esterno (DAE) e quale sia il suo ruolo durante la rianimazione cardiopolmonare.
È necessario condividere il significato di alcuni termini e concetti.
Lo facciamo con un linguaggio volutamente semplice in modo da non lasciare dubbi soprattutto a chi non ha competenze specifiche e può avere difficoltà ad ottenere informazioni affidabili. Il nostro scopo è poter fornire chiarimenti attendibili al maggior numero possibile di interlocutori interessati.


COS’È L’ARRESTO CARDIACO?

COS’È L’ARRESTO CARDIACO?

L’arresto cardiaco è una condizione in cui il cuore non riesce più a far circolare il sangue ed a far arrivare ossigeno alle cellule che compongono il corpo della vittima che, di conseguenza, inizia a morire in pochissimi minuti.
La definizione di “arresto cardiaco” racchiude in sé diverse condizioni che hanno però un comune denominatore: l’interruzione della circolazione del sangue nell’organismo di chi ne è vittima. Nel sangue è contenuto l’ossigeno, elemento vitale presente nell’aria che respiriamo e di cui le cellule che compongono i nostri organi hanno bisogno per mantenersi vive e in funzione. Se l’ossigeno non viene più trasportato dal sangue fino alle cellule, queste iniziano a morire, spegnendosi come candele sotto ad un bicchiere. In base all’organo a cui appartengono e alla funzione che svolgono, le cellule si “spengono” in tempi diversi.
In particolare, le cellule del cervello (che è l’organo da cui dipende la qualità della nostra vita e molte delle nostre funzioni vitali, come la respirazione) e del cuore sono le più vulnerabili e se non ricevono ossigeno, si “spengono” quasi istantaneamente: iniziano velocemente a morire fino a rag- giungere la soglia di un danno irreversibile in una manciata di minuti. Se il cervello viene privato dell’ossigeno a causa dell’arresto cardiaco, la vittima perde coscienza e in pochi secondi smette di
respirare normalmente.


COS’È LA RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE?

La rianimazione cardiopolmonare è una breve serie di valutazioni e azioni che servono a riconoscere l’arresto cardiaco, chiedere aiuto e attivare i soccorsi, sostenere la circolazione e la respirazione per rallentare il processo di morte.
In base a quanto detto finora, è possibile distinguere un malore generico dall’arresto cardiaco: la vittima in arresto cardiaco è priva di coscienza, non si risveglia e non reagisce se viene chiamata e scossa, non respira normalmente o non respira affatto e non mostra alcun movimento. Nelle prime fasi dell’arresto cardiaco la priorità non sta nel capire perché si è verificato ma nel saperlo riconoscere prontamente per iniziare le manovre di rianimazione cardiopolmonare.
Queste manovre sono le stesse qualsiasi sia stata la causa che ha provocato l’arresto cardiaco.
Infatti, lo scopo iniziale e cruciale è cercare di rallentare il processo di morte iniziato con l’interruzione dell’ossigenazione. Per riuscirci, il soccorritore che si sia accorto di questa condizione può sostituire in parte la funzione del cuore con manovre semplici e che non richiedono nessun tipo di strumento. Il soccorritore può far circolare il sangue della vittima fornendo almeno un po’ ossigeno di cui le cellule hanno bisogno (e di cui sono state private dall’arresto cardiaco) con la rianimazione cardiopolmonare.
Comprimendo il centro del torace con le mani poste sulla metà inferiore dello sterno, si può generare una pressione sul torace e sul cuore in grado di spingere il sangue nel sistema circolatorio verso i vari organi. Alternando queste compressioni toraciche con le ventilazioni di soccorso, si fa arrivare nuovo ossigeno nel sangue della vittima in modo che le compressioni toraciche lo spingano fino alle cellule sofferenti.
Pertanto, si può dire che una persona è in arresto cardiaco (e quindi sta morendo) quando ha perso coscienza e non si risveglia se chiamata e scossa e ha smesso di respirare normalmente e di fare altri movimenti. È utile sapere fin d’ora che l’operatore che ci risponde quando chiamiamo il 112/118 può aiutarci a riconoscere questi segni, ci può guidare a fare le manovre necessarie anche se non le conosciamo o non le ricordiamo e ci può segnalare se nelle vicinanze è disponibile un DAE.
Qualsiasi sia la causa dell’arresto cardiaco, le manovre da fare sono sempre le stesse: chiamare il 112/118 e far cercare un DAE, comprimere il torace e, se siamo in grado di farlo e vogliamo farlo, tentare le ventilazioni di soccorso.


COSA SONO LA FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE E LA TACHICARDIA VENTRICOLARE?

La fibrillazione e la tachicardia ventricolari sono due aritmie caotiche che, impedendo al cuore di contrarsi correttamente, causano arresto cardiaco.
Queste condizioni possono essere riconosciute e interrotte dal defibrillatore.
Il cuore è un organo cavo che raccoglie il sangue in due camere principali chiamate ventricoli. Le pareti del cuore sono fatte di fibre muscolari: queste fibre, contraendosi e quindi accorciandosi, “spingono” il sangue che si è raccolto dentro ai ventricoli verso tubi chiamati arterie che poi, ramificandosi, raggiungono tutti gli organi. Anche se il termine “arresto cardiaco” sembra dirci che la circolazione si ferma a causa dell’immobilità del cuore, questo non è sempre vero. Infatti, durante un arresto cardiaco, le fibre muscolari del cuore si possono trovare in condizioni diverse, anche se l’effetto finale è comunque quello di non riuscire a far circolare il sangue.
Per comprendere questo concetto, immaginate che le fibre muscolari che compongono il cuore siano le dita di una mano che debba strizzare una spugna. Per essere efficace, il movimento delle dita deve essere sincronizzato e coordinato e lasciare il tempo alla spugna di imbibirsi di nuovo prima di essere strizzata e alle dita di aprirsi completamente prima di richiudersi: questo avviene perché la contrazione dei muscoli delle dita è innescata da un segnale (un impulso elettrico) che
le raggiunge simultaneamente e le fa muovere insieme. Se questo impulso viene interrotto e non arriva più alle dita, le dita possono iniziare a muoversi indipendentemente e velocemente e si chiuderanno in modo caotico, una per volta, rendendo di fatto impossibile “strizzare” la spugna.
La fibrillazione ventricolare è proprio quella condizione in cui le cellule muscolari dei ventricoli si muovono caoticamente, senza sinergia e coordinazione perché qualcosa ha interrotto la loro attività coordinata. Hanno ancora una propria capacità autonoma di generare l’impulso elettrico
che innesca il loro movimento minuscolo ma, avendo perso la capacità di contrarsi tutte insieme, non sono più in grado di far progredire il sangue, “spingendolo” nelle arterie. Nella tachicardia ventricolare, invece, il movimento delle cellule cardiache è talmente veloce da impedire al sangue di riempire i ventricoli e a questi di dilatarsi e contrarsi per pomparlo fuori. L’effetto finale di entrambe le condizioni è che, anche se le cellule del cuore non sono ferme e “vermicolano”, il sangue non viene spinto fuori dal cuore e la circolazione si ferma, generando l’arresto cardiaco.
Di solito, negli adulti, la fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare iniziano in una por- zione del muscolo cardiaco a cui improvvisamente non arriva più sangue a sufficienza (ischemia) e poi, come un’onda anomala, si propagano a tutto il cuore. Non sempre però l’ischemia provoca l’arresto cardiaco: l’interruzione della circolazione in una porzione di cuore a causa della ostruzione di una delle arterie che la irrorano viene definita infarto del miocardio che è una condizione grave ma, per fortuna, non corrisponde sempre all’arresto cardiaco. Nella maggior parte dei casi di “infarto cardiaco” o miocardico il paziente “rimane” vivo anche se sofferente (inizialmente lamenta dolore al petto o allo stomaco, malessere, pallore e sudore freddo) mentre nell’arresto cardiaco la vittima ha già “iniziato” a morire (perdita di coscienza, assenza di respirazione normale e di altri movimenti): quindi non sono la stessa cosa ma il primo può essere causa del secondo. In entrambi i casi è necessario e urgente chiamare il 112/118. Ma in caso di arresto cardiaco bisogna anche iniziare la rianimazione cardiopolmonare.
In altri casi, la fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare possono essere dovute ad altre malattie congenite o acquisite del cuore, a farmaci o droghe, a traumi del torace. Queste cause interrompono il normale ordine con cui le cellule si contraggono e innescano il caos nel loro movimento.



L’ARRESTO CARDIACO È SEMPRE DOVUTO A FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE O TACHICARDIA VENTRICOLARE?

L’arresto cardiaco può essere causato anche da condizioni diverse da un’aritmia caotica come la fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare; in questo caso il defibrillatore deve comunque essere applicato, anche se non è di aiuto immediato, mentre bisogna proseguire con le compressioni e le ventilazioni.
La fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare sono solo due delle modalità con cui può presentarsi un arresto cardiaco. In altre parole, quando la vittima è in arresto cardiaco, il suo cuore si può trovare anche in condizioni diverse dalla fibrillazione e dalla tachicardia ventricolari. Per tornare all’esempio della mano, il danno che ha causato l’arresto cardiaco può essere talmente grave che le dita hanno smesso completamente di muoversi e hanno perso qualsiasi capacità di generare o rispondere a un impulso elettrico. Questa condizione di completa inattività elettrica e meccanica si chiama “asistolia”.
In altri casi il cuore funzionerebbe normalmente ma non può spingere il sangue perché ci sono ostacoli meccanici che impediscono al sangue di entrare o di uscire dai ventricoli. Oppure il cuore non ha più sangue da spingere, anche se è in grado di funzionare normalmente.


COS’È LA DEFIBRILLAZIONE?

La defibrillazione è l’erogazione di una scarica elettrica sul torace della vittima che, in caso di fibrillazione o tachicardia ventricolare, può interrompere l’aritmia creando le condizioni per ripristinare un ritmo più regolare e quindi la capacità del cuore di far riprendere la circolazione.
Come detto, in tutti i casi di arresto cardiaco è necessario eseguire le compressioni toraciche e, possibilmente, le ventilazioni. L’applicazione del DAE è comunque utile perché, se la condizione del cuore durante l’arresto cardiaco è o diventerà la fibrillazione o la tachicardia ventricolare, questa macchina sarà in grado di riconoscerla e trattarla, dando al soccorritore un’arma in più per provare a salvare la vita della vittima.
Infatti, la funzione del DAE è proprio questa: analizzare in quale tipo di condizione si trovi il cuore della vittima di arresto (che non risponde, non respira e non si muove) e, nel caso rilevi fibrillazione o tachicardia ventricolare, quale che sia la causa che le abbia provocate, permettere di interrompere il caos delle cellule muscolari del cuore e ridare un ordine alla loro contrazione attraverso l’erogazione di una corrente elettrica.
Torniamo al paragone della mano che non riesce a strizzare la spugna perché le dita si muovono in maniera caotica. Immaginate di poterle bloccare contemporaneamente nella stessa posizione per una frazione di secondo e poi lasciare che si muovano di nuovo. Dopo la brevissima pausa, è possibile che le dita ripartano insieme, aprendosi e chiudendosi di nuovo in modo coordinato ed efficace.

Usando un’altra metafora, si può descrivere la fibrillazione ventricolare come una canoa in cui i vogatori hanno perso il sincronismo: le loro remate caotiche e contrastanti non riescono a far avanzare la barca. In questo caos, il capovoga a bordo della barca non riesce più a farsi sentire per dare il ritmo corretto. Se però si avvicina una barca di appoggio con un allenatore armato di megafono, il suo urlo da fuori bordo può far fermare i vogatori e permettere al capovoga di riprendere il controllo del ritmo di voga: se riesce a farli ripartire insieme, la canoa si rimetterà in moto. Lo shock del defibrillatore agisce come un urlo esterno che permette al capovoga interno di riportare ordine nel ritmo dei rematori.
Il defibrillatore ha la stessa funzione: eroga una corrente elettrica sul torace del paziente di intensità tale che almeno una parte di questa corrente raggiunga il cuore fibrillante e vi provochi una contrazione simultanea delle cellule cardiache che interrompe la loro attività caotica. In altre parole, la corrente erogata dal defibrillatore fa contrarre una massa critica di cellule del cuore nello stesso istante in cui le raggiunge e provoca una pausa nella loro attività, predisponendole alla loro sincronizzazione: se le condizioni del cuore lo permettono, dopo questa pausa le cellule potranno riprendere a contrarsi in modo coordinato e quindi a spingere il sangue verso gli organi. 


COS’È IL DEFIBRILLATORE SEMI-AUTOMATICO ESTERNO (DAE)?

Il DAE è una macchina molto semplice e sicura che, applicata ad una vittima di arresto cardiaco, è in grado di riconoscere autonomamente se è presente la fibrillazione o la tachicardia ventricolare e di predisporsi per erogare la scarica elettrica adatta ad interromperla. Per erogare lo shock, però, la macchina richiede che un operatore prema l’apposito pulsante.
La peculiarità del defibrillatore semi-automatico esterno sta nel fatto che il dispositivo, una volta che sia stato collegato al paziente applicando le piastre adesive sul suo torace, è in grado di effettuare in qualche secondo l’analisi dell’attività elettrica del cuore e identificare l’eventuale presenza di fibrillazione o di tachicardia ventricolare. Nel DAE, quest’analisi parte in maniera completamente automatica una volta applicate le piastre sul torace, senza alcun altro intervento di chi sta utilizzando l’apparecchio. Se, e solo se, identifica la fibrillazione o la tachicardia ventricolare, l’apparecchio si carica; e lo fa, anche in questo caso, in modo del tutto automatico, avvertendo l’operatore con messaggi vocali e visivi che indicano che è opportuno erogare lo shock. A questo punto, il controllo torna all’operatore a cui spetta il compito di spingere il pulsante che permette al DAE di erogare lo shock.
Il defibrillatore, quindi, viene chiamato semi-automatico perché l’erogazione dello shock richiede l’intervento di un operatore che prema il pulsante apposito, altrimenti lo shock, anche se indicato, non viene erogato e viene annullato dalla macchina dopo qualche secondo di attesa. In altre parole, l’operatore non ha accesso alla fase di diagnosi della fibrillazione/tachicardia ventricolare e alla conseguente carica dell’apparecchio: queste due operazioni (analisi e carica) sono funzioni
automatiche e non modificabili dall’esterno.



I compiti dell’operatore pertanto sono:
• Accensione dell’apparecchio;
• Applicazione delle piastre;
• Valutazione della sicurezza ambientale prima dell’erogazione dello shock;
• Erogazione dello shock premendo l’apposito tasto se l’apparecchio lo ha consigliato.
La necessità di valutare la sicurezza intorno alla vittima al momento di erogare lo shock è dovuta al fatto che la corrente elettrica che attraversa il corpo della vittima potrebbe propagarsi a chi accidentalmente la sta toccando. Pertanto, è compito di chi eroga lo shock verificare che, nel momento in cui si
accinge a premere il pulsante di shock, nessuno stia toccando la vittima.
Il DAE ripete ogni due minuti l’analisi e ogni volta si preparerà o meno ad erogare lo shock a seconda del ritmo che ha identificato, avvertendo della sua decisione l’operatore con un messaggio vocale. Pertanto, una volta applicato, il DAE non deve essere staccato dalla vittima.
Esistono anche defibrillatori esterni automatici in senso stretto, non diffusi in Italia, che differiscono da quelli semiautomatici perché non attendono che sia l’operatore ad erogare lo shock, se indicato, ma procedono autonomamente con la scarica una volta dato l’avviso sonoro. Comunque, anche in questo caso, gli operatori che hanno acceso e applicato il defibrillatore sono tenuti a mantenere la sicurezza, controllando che nessuno tocchi la vittima, durante l’analisi e l’eventuale defibrillazione.


Autore: antonino vinciguerra 23 nov, 2023
La Croce San Giuseppe, tra le sue attività, effettua anche trasporti sanitari non urgenti. Il nostro equipaggio ha effettuato trasporti per Milano, Roma, Parma, Cremona, Durbuj (Belgio). Un viaggio per permettere al paziente che ha avuto un grave problema sanitario mentre era in vacanza di riportarlo a casa dai suoi cari. Qualcuno potrebbe chiedersi perchè non usare un elicottero o un aereo che sono estremamente più veloci. Semplicemente perchè le condizioni del paziente sono tali da dover obbligatoriamente essere trasportato su gomma.
23 nov, 2023
La nostra flotta di ambulanze e auto mediche garantisce ogni giorno e ogni notte su tutto il territorio nazionale il trasporto intra ospedaliero ed extra ospedaliero di malati e infermi. Equipaggiate con strumentazioni all’avanguardia le nostre sono tra le migliori ambulanze a Palermo e provincia. Le nostre ambulanze private sono dotate di: ampio spazio impianto di climatizzazione apparecchiature di ultima generazione barella autocaricante sedia portantina assistenza professionale e personale qualificato Interveniamo rapidamente in ogni caso di: Dimissioni Trasferimenti Trasporto per terapie Rimpatrio Sanitario Trasporti Sanitari Nazionali Internazionali  Trasporto Malati Oncologici Segui Ambulanze Private Croce San Giuseppe Palermo sui social.
Autore: antonino vinciguerra 21 nov, 2023
Il Rito del Funerale è un momento di raccoglimento dedicato all’ultimo prezioso saluto al defunto. In ogni paese del mondo vengono elaborati riti con lo scopo di esorcizzare la morte, consentire una nuova vita al defunto e recare conforto alla comunità. Uno di questi, decisamente in uso nei paesi anglosassoni, è quello di allestire e consumare banchetti in onore dei defunti durante il commiato. Le origini del rinfresco Il rinfresco funebre ha origini lontane che risalgono all’antica Roma. In questo periodo storico il culto dei morti era molto sentito e al defunto venivano dedicate cure e attenzioni simbolo di rispetto, legame e affetto costante. Il rito funebre era suddiviso in due significativi momenti: il funus il refrigeria . Il funus comprendeva tutte le operazioni necessarie ad accompagnare il defunto nell’aldilà, quindi la preparazione della salma, la vestizione, l’esposizione, il corteo fatto di canti e preghiere fino a raggiungere il momento del saluto, ossia quello dell’inumazione. Al termine del funus veniva all’allestito banchetto, il cosidetto refrigeria. Il pasto funebre era celebrato da parenti ed amici presso la tomba del defunto, che diveniva così un invitato invisibile il cui compito era quello di rappresentare un elemento aggregante per rinsaldare i vincoli della solidarietà e della concordia familiare. Tali convivi con il tempo persero il loro significato e si trasformarono in un mezzo per ostentare ricchezza e lusso da parte delle famiglie più abbienti, tanto che nel V secolo d.C. la Chiesa ufficiale decise di abolire ogni forma di rinfresco funebre. Paesi Anglosassoni e Italia Nei paesi Anglosassoni il funerale è visto come un’occasione per socializzare “festeggiando” il passaggio del defunto ad una vita diversa. I familiari più stretti mettono a disposizione di coloro che sono intervenuti al funerale un rinfresco accompagnato da un sottofondo musicale per intrattenere gli ospiti. In questo momento i partecipanti chiacchierano, ricordando i momenti più belli della vita del defunto in un’atmosfera calda e familiare. È inoltre usanza che, al termine del rinfresco, vengano raccolte delle somme in denaro che verranno devolute ad associazioni benefiche. In Italia, al contrario, il rito funebre è caratterizzato da una cerimonia sobria e discreta, in cui i parenti e gli amici del defunto si stringono nel dolore più profondo. Per questo l’usanza del rinfresco funebre non è sempre vista di buon occhio, anzi è considerata un’abitudine di cattivo gusto che mostra una mancanza di rispetto nei confronti del deceduto. Tuttavia in alcune regioni si segue ancora la tradizione secondo la quale in casa di chi è in lutto non è possibile cucinare per i tre o cinque giorni successivi al triste evento. Tutti coloro che sono legati da un profondo affetto e stima con il defunto e la sua famiglia, in segno di alleanza e comunione, nei giorni successi al decesso nutrono i familiari con pietanze tipiche, organizzandosi in turni per la consegna del cibo.
Autore: antonino vinciguerra 20 nov, 2023
Quando ci lascia un nostro caro, le ultime cose alle quale vorremmo pensare sono le incombenze di ordine burocratico. Purtroppo però, siamo costretti a farlo ed è meglio essere preparati per sbrigare le pratiche col minor impegno possibile e dedicarci al nostro dolore. Ecco perché dovresti sapere bene che cos’è la tassa di successione e come muoverti in caso di bisogno. Che cos’è la tassa di successione La tassa di successione è un’imposta che si è tenuti a pagare sui beni che si ricevono in eredità. Non fa differenza che il passaggio di beni immobili o diritti reali immobiliari avvenga a seguito di testamento olografo, stipulato di fronte al notaio o segreto. Ora che abbiamo chiarito che cos’è la tassa di successione, vanno comprese le incombenze a carico del destinatario dell’eredità. Quest’ultimo deve infatti presentare la dichiarazione di successione all’Agenzia delle Entrate della circoscrizione del defunto, entro 12 mesi dal momento di apertura della pratica di successione stessa. Nello specifico, sono tenuti a presentare tale dichiarazione: • i chiamati all’eredità ed i legatari • gli amministratori dell’eredità • gli esecutori testamentari In caso di rinuncia all’eredità, va da sé che non vi è alcun obbligo da espletare. Non bisogna altresì presentare la dichiarazione se: • i destinatari dell’eredità sono i coniugi ed i parenti in linea retta del defunto • l’eredità non ha un valore complessivo superiore ai 100.000 € • l’eredità non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari Importi e scadenze Potrebbe non essere sufficiente sapere che cos’è la tassa di successione. Andiamo dunque ad approfondire altri aspetti importanti quali gli importi e le scadenze da ottemperare. Di definire le aliquote si occupa il Decreto Legge n.262 del 2006 e nello specifico, l’articolo 2 al comma 48. Senza entrare nello specifico delle casistiche, per le quali ti consigliamo di contattare un commercialista che possa seguirti e guidarti in un dedalo piuttosto intricato, possiamo anticiparti che le percentuali da versare al Fisco variano dall’4 all’8% del totale del valore dei trasferimenti. Sono inoltre previste delle franchigie da applicare in casi particolari. Per quanto riguarda invece le scadenze, il pagamento della tassa di successione deve essere effettuato entro 60 giorni dall’avviso di liquidazione dell’eredità. È possibile anche pagarla a rate, ma il 20% del totale deve essere corrisposto entro i 60 giorni di cui sopra ed il restante importo va regolato in massimo 8 rate (o 12 in caso di ammontare superiore ai 20.000 €).
Candele e lumini votivi per i defunti: perchè li utilizziamo?
Autore: antonino vinciguerra 20 nov, 2023
Sempre presenti sulle tombe dei nostri cari, le candele e i lumini votivi sono schegge di luce che rischiarano la notte buia dei cimiteri ed accompagnano i nostri cari defunti verso la pace; ma perché li utilizziamo? Prima di raccontarvi le abitudini italiane, facciamo un viaggio in Europa per scoprire gli usi e le tradizioni legate all’utilizzo dei lumini votivi. L’Europa e l’usanza dei lumini votivi Entriamo nel mondo delle tradizioni legate ai ceri dedicati ai defunti e conosciamo da vicino le usanze che contraddistinguono alcune nazioni europee. Ognuna ha un proprio percorso, una storia e un insieme di memorie e leggende legate all’utilizzo dei lumini votivi. Francia La tradizione vuole che i lumini votivi da utilizzare siano quelli benedetti il giorno della Candelora La fiamma non deve mai essere spenta con le dita, altrimenti si rischia di bruciare le ali dell’anima del defunto. Romania Si utilizzano candele composte di cera d’api che vengono denominate “toiag” ovvero bastone. Le Toiag serviranno al defunto come punto di sostegno e come arma durante il suo viaggio nell’aldilà. Al momento della morte vengono prese le misure del corpo con un filo di canapa o di cotone, cosparso di cera pura. La Toiag così realizzata verrà posta sulla tomba, dove per quaranta giorni, una donna, legata al defunto da profondo affetto, ne brucerà un pezzo. Alla fine dei quaranta giorni verrà bruciato ciò che rimane e così facendo, secondo la credenza popolare, il caro estinto si trasformerà in luce. Germania Il lumino votivo viene acceso in suffragio del defunto il giorno della morte e solo quando è del tutto consumato il defunto avrà raggiunto la sua ultima dimora e trovato la pace eterna. Altra credenza popolare in Germania era quella di illuminare la stanza del defunto con le candele votive in modo da evitare che i topi possano aggredire gli occhi del defunto. Spagna In Spagna, la tradizione è molto simile a quella della Germania e della Romania: non parliamo di lumini votivi ma di ceri che fungono da accompagnamento per il viaggio del defunto. Qui le candele devono essere tenute accese per un intero anno ed i parenti hanno il preciso compito di vegliare affinchè non si spengano. Cosa succede in Italia I lumini votivi sono sempre presenti nei luoghi di sepoltura, in special modo nel periodo di novembre, mese dedicato ai morti. Sono utilizzati per testimoniare la nostra vicinanza al defunto e per guidarlo verso la strada della salvezza. Nella maggior parte dei casi, l’accensione dei lumini votivi è accompagnata da una preghiera e diventa un gesto di affetto per chi non è più presente nella nostra vita terrena. L’usanza di accendere una luce accanto ai sepolcri per la religione cristiana ha a un significato particolare: indica che il defunto è vissuto nella luce della fede e, come recita l’Eterno riposo, si invoca, che su di lui splenda la «luce perpetua», la luce di Dio. Lumini votivi tra passato e futuro Con l’avvento dell’elettricità nei nostri cimiteri è invalso l’uso di una piccola fiammella perpetua di certo molto più pratica e sicura. I ceri si sciolgono abbastanza velocemente e, talvolta la cera può colare sulla lapide danneggiandola o, sui fiori secchi provocandone la combustione. Per evitare di incorrere in tali problematiche e ridurre anche l’inquinamento, si può optare per l’utilizzo di lumini elettrici. L’effetto sarà di certo meno impattante, ma la funzione di dare luce al defunto sarà assolta. Vi ricordiamo che ne esistono di svariate tipologie: a pile, led, candele elettriche e tutti hanno una durata che supera quella dei lumini votivi e non richiedono alcuna manutenzione.
Autore: antonino vinciguerra 15 nov, 2023
Se per molti anni la Chiesa cattolica ha impedito la cremazione, oggi questa disposizione non esiste più. Nell’antichità, erano molte le ideologie anticristiane che proponevano la cremazione ed è soltanto per questo motivo che la chiesa condannava non tanto la cremazione, quanto le ideologie che vi stavano dietro. I non cristiani, infatti, non credevano nella resurrezione del corpo e nella vita dopo la morte. Gli antichi romani, che erano pagani in quanto adoravano diversi dei, incenerivano i corpi e si prendevano gioco dei cristiani che invece credevano nell’immortalità dell’anima. In realtà, in tempi di pestilenze o guerre, in tutte quelle circostanze in cui la sepoltura dei corpi poteva essere un problema, la chiesa non si è mai opposta alla cremazione e comunque non è mai stato affermato che la cremazione non sia compatibile con l’immortalità dell’anima. Fatto sta che in occidente, proprio per motivi religiosi, la sepoltura per tumulazione o inumazione sono sempre state le modalità preferite e solo di recente la cremazione ha cominciato ad essere una scelta sempre più diffusa. La cremazione e l’ateismo L’idea che la scelta della cremazione riguardi soltanto gli atei risale ai tempi dell’illuminismo, quando la cremazione divenne il simbolo con cui si distinguevano i credenti dai non credenti, in una sorta di protesta contro la chiesa e il pensiero religioso, utilizzata come strumento per manifestare espressamente disapprovazione nei confronti della religione. Fu per questo motivo che il Sant’Uffizio fu costretto a condannare la cremazione, non tanto per l’azione fisica compiuta di bruciare il corpo, ma per quello che questo gesto rappresentava. Nel 1963 la Santa Sede si pronunciò di nuovo a favore della pratica della cremazione, ma soltanto a patto che non fosse utilizzata per manifestare odio contro la fede cattolica. La Chiesa cattolica accetta la cremazione oggi? Sì, la Chiesa Cattolica reputa che la cremazione una forma di sepoltura dignitosa e rispettosa del defunto tanto quanto la sepoltura della salma, in quanto il fuoco non fa altro che il lavoro che spetterebbe alla natura nel corso degli anni, con l’unica differenza che lo fa in molto meno tempo. Anche rispetto alla resurrezione dei corpi non c’è niente che impedisca alla potenza divina di resuscitare un corpo ridotto in polvere o in cenere, in ogni caso infatti si tratterà di un ritorno a una nuova vita. La dispersione delle ceneri Mentre la chiesa cattolica non pone alcun veto sulla cremazione, è invece molto critica rispetto alla dispersione delle ceneri che invece è consentita dalle leggi civili. Il pericolo che la Chiesa riscontra in questa pratica è che possano crearsi nuove teorie religione di panteismo, di fusioni cosmiche o altre teorie che non hanno niente a che vedere con il cristianesimo. Oltre al fatto che, tenere le ceneri di qualcuno in un luogo che non sia un cimitero, potrebbe generare fenomeni di devozione non autorizzati. A questo proposito quindi la chiesa suggerisce di riporre comunque l’urna cineraria al cimitero in modo da consentire l’espressione della devozione per i defunti nel modo da essa ritenuto più giusto. Le tombe, infatti, nella concezione religiosa cattolica, non hanno il solo scopo di conservare la salma ma rappresentano uno strumento di ricordo, di trasmissione della memoria, che rafforza il nostro legame con i parenti i gli amici cari che non ci sono più.
Autore: antonino vinciguerra 15 nov, 2023
Il medico Necroscopo è il medico incaricato dall’Asl per certificare il decesso di una persona ed ha il compito di accertare la morte, redigendo l’apposito certificato previsto dal citato art.141. La visita del medico Necroscopo deve sempre essere effettuato non prima di 15 h. dal decesso, salvo i casi previsti dagl’art.8, 9 e 10, e comunque non dopo le 30 ore.
Autore: antonino vinciguerra 15 nov, 2023
La vestizione della salma è il momento in cui i familiari, o gli addetti delle pompe funebri, si preoccupano di ricomporre e preparare il corpo del defunto per l’ultimo incontro con parenti e amici che andranno alla veglia funebre. Lo scopo di questa pratica è dare dignità al defunto e consentire a chi lo vedrà di conservare un buon ricordo di lui. Si tratta di un momento molto intimo, a volte doloroso, che però è l’ultimo atto di amore per la persona che non c’è più. La vestizione di un defunto può essere effettuata dai familiari ma in molti casi è necessario affidarsi al personale specializzato ed esperto che possa aiutare la famiglia a preparare la salma nel modo giusto. 1. Scegliere il vestito migliore La scelta dell’abito migliore non significa che ci siano regole per selezionare un abito da far indossare al defunto. Ogni famiglia può scegliere serenamente quale tipo di abiti utilizzare e quali eventuali accessori inserire all’interno della bara e nella camera ardente. Se di questa operazione si occupa l’agenzia funebre, saprà rispettare i desideri e le indicazioni della famiglia sia che avvenga all’obitorio sia che avvenga in casa o in qualunque altro luogo si ritenga consono alla preparazione della salma. 2. Sapere come muoversi Se la vestizione avviene a poco tempo dal decesso, è ancora semplice infilare i vestiti alla salma. Se è trascorso più tempo, potrebbe essere necessaria un po’ di prestanza fisica in più per gestire un corpo che adesso sarà completamente immobile. È anche per questo motivo che è utile rivolgersi a un’agenzia funebre perché i suoi addetti sono in grado di operare la vestizione senza movimenti bruschi. 3. La tanatoprassi La tanatoprassi è quel processo che ha lo scopo di conservare una salma. Per evitare che nelle ore successive alla morte un corpo possa subire troppe trasformazioni, il tanatoprattore inserisce un liquido conservante nel corpo, che mantiene integra la salma per qualche giorno. La tanatoprassi non ha nulla a che vedere con la tecnica di imbalsamazione di una salma, ma ha soltanto lo scopo di preservare al meglio un corpo per un tempo limitato in modo da permettere ad amici e familiari di vedere il defunto in buone condizioni. 4. La tanatoestetica La tanatoestica è quel processo che ha lo scopo di rendere il più presentabile possibile il defunto agli occhi dei parenti, cercando di coprire al meglio eventuali segni lasciati dalla malattia o da traumi. Si inizia da una pulizia accurata del corpo e dei capelli, poi si procede se necessario con la rasatura della barba e poi si passa al camouflage che consiste nell’abbellire il viso e le mani del defunto, utilizzando prodotti specifici. Solo alla fine si passa alla vestizione della salma. 5. Seguire i propri desideri Nella scelta degli abiti da far indossare a un defunto non esistono regole. Un abito elegante, magari già indossato, oppure qualcosa di nuovo e di acquistato per il momento della composizione della salma: ognuno potrà scegliere come preferisce. Anche rispetto alla tipologia di abiti non esiste alcuna regola. Si possono scegliere abiti casual o sportivi, eleganti, da cerimonia, capi d’abbigliamento a cui il defunto era particolarmente affezionato.
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